Da “Il libro dell’Inquietudine” [116]
Da molto, non so se da giorni o se da mesi, non registro alcuna impressione; non penso, dunque non esisto.
Ho dimenticato chi sono; non so scrivere perché non so essere. Attraverso una obliqua sonnolenza sono stato un altro. Sapere che non ricordo è svegliarmi.
Sono svenuto durante un brano della mia vita. Ritorno in me stesso senza memoria di ciò che sono stato e la memoria di ciò che fui soffre di essere stata interrotta. C’è in me una nozione confusa di un intervallo incognito, uno sforzo futile di una parte della memoria nel voler trovare l’altra parte. Non riesco a riallacciarmi. Se ho vissuto, mi sono dimenticato di saperlo.
Non è questa prima giornata di avvertibile autunno (la prima giornata di freddo non fresco che veste l’estate morta di minore luce) che mi dà, in una trasparenza straniata, una sensazione di proposito morto o di falsa volontà. Eppure non c’è, in questo interludio di cose perdute, una traccia incerta di memoria inutile. E’, più dolorosamente, un tedio di stare rammentando ciò che non si ricorda, uno scoraggiamento di ciò che la coscienza ha perso fra alghe e giunchi, in riva a non so che cosa.
Vedo che la giornata, limpida e immobile, ha un cielo positivo, di un azzurro meno chiaro dell’azzurro profondo. Vedo che il sole, leggermente meno dorato di prima, infiamma di riflessi umidi i muri e le finestre. Mi rendo conto che, nonostante non ci sia vento, o brezza che lo ricordi e lo neghi, nella città indefinita dorme tuttavia una frescura sveglia. Mi rendo conto di tutto ciò, senza pensare o volere, e non ho sonno se non come ricordo, e non ho nostalgia se non come inquietudine.
Sono in convalescenza, sterile e lontano, dalla malattia che non ho avuto. Mi predispongo, agile per il risveglio, a ciò che non oso. Quale sonno non mi ha lasciato dormire ? Quale carezza non ha voluto parlarmi ? Che bello essere un altro con questo sorso freddo di primavera forte! Che bello poter almeno immaginare di esserlo; è meglio della vita; mentre in lontananza, nell’immagine ricordata, i giunchi si inclinano glauchi sul fiume senza che si avverta il vento.
Quante volte, rimembrando chi non sono stato, mi penso giovane e dimentico ! Ed erano altri i paesaggi che non ho mai visto; erano nuovi senza essere esistiti i paesaggi che ho veramente visto. Che me ne importa ? Mi sono spento in fatalità e interstizi, e mentre il fresco della giornata è proprio quello del sole, i giunchi scuri del fiume dormono freddi al tramonto che vedo senza che esista.
Sto scrivendo i brani
della mia vita,
ricordando chi
non sono stato,
pensando a paesaggi
che non ho mai visto,
vibrando lacrime
davanti ad un tramonto che vedo,
ma che non esiste.
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