Da “Il libro dell’Inquietudine” [132]

Sono passato come uno straniero in mezzo a loro, ma nessuno ha capito che lo ero. Sono vissuto come una spia in mezzo a loro e nessuno, nemmeno io, ho sospettato che io lo fossi. Tutti mi credevano un parente: nessuno sapeva che ero stato scambiato alla nascita. Cosi sono stato uguale agli altri senza somigliare a loro, fratello di tutti senza appartenere alla famiglia. Venivo da terre prodigiose, da paesaggi più belli della vita, ma non ho mai parlato di quelle terre se non a me stesso. E di quei paesaggi visti in sogno non ho mai dato notizia a nessuno. I miei passi erano uguali ai passi altrui, sugli impiantiti o sui lastricati, ma il mio cuore era lontano, anche se batteva vicino, signore falso di un corpo esiliato ed estraneo. Nessuno mi ha riconosciuto sotto la maschera dell’identità con gli altri, né ha mai saputo che ero maschera, perché nessuno sapeva che a questo mondo esistono i mascherati. Nessuno ha supposto che a mio lato ci fosse sempre un altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso. Nelle loro case ho trovato riparo, le loro mani hanno stretto la mia, mi hanno visto passare per la strada come se fossi io; ma colui che io sono non è mai stato in quelle stanze, colui che io vivo non ha mani che altri possano stringere, colui che conosco quale io non ha strade da percorrere, se non tutte le strade, non ha qualcuno che in esse lo veda, a meno che egli stesso non sia tutti gli altri. Tutti noi viviamo distanti e anonimi; dissimulati, soffriamo da sconosciuti. Ad alcuni, però, questa distanza fra loro stessi e un altro essere non si rivela mai; per altri è talvolta illuminata, di orrore o di pena, da un lampo senza limiti; ma per altri essa non è altro che la dolorosa costanza e quotidianità della vita.


Sapere esattamente che chi siamo non ci riguarda, che ciò che pensiamo o sentiamo è sempre una traduzione, che ciò che vogliamo e ciò che non vorremmo, né forse qualcuno ha voluto; sapere tutto questo a ogni minuto, sentire tutto questo in ogni sentimento, non significherà essere straniero nella propria anima, esiliato nelle proprie sensazioni?
Ma la maschera che finora ho fissato con inerzia, quella maschera che parlava all’angolo della strada con un uomo senza maschera in questa notte di fine carnevale, ha finalmente teso la mano e ha salutato ridendo. L’uomo naturale ha girato l’angolo e ha imboccato la traversa di sinistra. La maschera (un domino senz’allegria) è andata nell’altra direzione, allontanandosi fra ombre e luci fortuite, in un commiato definitivo ed estraneo a ciò che io stavo pensando. Solo allora mi sono accorto che oltre ai lampioni c’era qualcos’altro nella strada: un chiarore di luna che si andava offuscando, vago, occulto, muto, pieno di nulla come la vita…



Provengo dai paesaggi
più belli della mia vita
ma il cuore, seppur  battente con essi
è molto lontano.

Mi sento smarrito
nella mia anima
e cerco un chiarore
di luna piena di nulla,
come la vita.

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