Da “Il libro dell’Inquietudine” [95]
Esistono in città certe tranquillità di campagna. Ci sono dei momenti, soprattutto nei mezzogiorni d’estate, in questa Lisbona luminosa, in cui la campagna, come un vento ci invade. E proprio qui, in Rua dos Douradores, godiamo di un sonno tranquillo.
Quanto è bello per l’animo osservare sotto un tranquillo sole alto, il silenzio, di questi barrocci di paglia, di queste cassette da riempire, questi passanti lenti di villaggio dislocato ! E anch’io mentre guardo affacciato alla finestra di quest’ufficio nel quale sono da solo mi disloco: mi trovo in una calma cittadina di provincia, in un villaggio sconosciuto, e sono felice perché mi sento un altro.
Lo so: se alzo gli occhi ho davanti a me la lunga facciata lurida del caseggiato, le finestre da lavare di tutti gli uffici della Baixa, le finestre insensate degli ultimi piani nei quali abitano degli inquilini; e, sopra di essi, nello spiovente delle mansarde, i panni di sempre al sole fra vasi e piante. Lo so, ma così soave è la luce che indora tutto questo, così insensata l’aria calma che mi circonda, che io non ho neppure motivi visuali per rinunciare al mio villaggio posticcio, alla mia cittadina di provincia dove il commercio è una pace.
Lo so, lo so…E’ vero che è l’ora di pranzo, o del riposo, o dell’intervallo. Tutto va bene alla superfice della vita. Anch’io dormo, anche se sono affacciato al balcone come se fosse il parapetto di una nave su un paesaggio inedito. E non mi tormento, come se fossi in provincia. Ed ecco, improvvisa, una cosa nuova che mi avvolge, mi comanda: oltre il meriggio della cittadina, in ogni cosa della cittadina, vedo la vita intera; vedo la grande felicità stupida della vita domestica, la grande felicità stupenda della vita nei campi, la grande felicità stupida della pace nella nullità. Lo vedo perché lo vedo. Ma non ho visto, e mi sveglio. Mi guardo intorno sorridendo, e prima di tutto tolgo dalle maniche del vestito (purtroppo scuro) la polvere del davanzale che nessuno ha pulito, perché non sapevano che un giorno questo davanzale sarebbe stato, anche se solo per un attimo, il parapetto senza polvere possibile di una nave che viaggiava per una crociera infinita.
Nessuno si aspetta mai
che il proprio cuore
possa ricominciare a viaggiare,
come nave
“per una crociera infinita”
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