Da “Il libro dell’Inquietudine” [101]

E’ un’irrimediabile oleografia. La guardo senza sapere se la vedo. In vetrina, oltre a quella, ce ne sono altre. Si trova al centro della vetrina nascondendomi il vano delle scale.

La figura stringe al seno la primavera e mi guarda con gli occhi tristi. Sorride con la lucidità della carta e ha le guance vermiglie. Il cielo dietro di le ha l’azzurro chiaro di un tessuto. Ha una bocca disegnata e piuttosto piccola, sopra il cui atteggiamento da cartolina gli occhi mi fissano sempre con una grande tristezza. Il braccio che sorregge i fiori mi ricorda quello di qualcuno. Il vestito, o la blusa, è aperto in una scollatura bordata. Gli occhi son proprio tristi: mi fissano dal fondo della realtà litografica con una certa verità. E’ arrivata con la primavera. I suoi occhi tristi sono grandi ma non è per questo motivo che sono tristi. Mi allontano dalla vetrina con un grande scatto dei piedi. Attraverso la strada e mi volto con una ribellione impotente. Lei sorregge ancora la primavera che le hanno dato e si suoi occhi sono tristi come le cose che mancano nella mia vita. Guardandola da lontano, l’oleografia sembra più colorita. La figura ha un nastro di colore rosa che contorna la cima dei capelli: non me ne ero accorto. Negli occhi umani, anche se litografici, c’è qualcosa di terribile: l’inevitabile avviso della coscienza, il grido clandestino dell’esistenza. Con un grande sforzo mi sollevo dal sonno nel quale sono immerso e come un cane scuoto via l’umidità della tenebra di bruma. E sopra il mio risveglio, nel commiato da un’altra cosa, gli occhi tristi della vita intera, di questa oleografia metafisica che contempliamo a distanza, mi fissano come se io sapessi di Dio. L’illustrazione ha un calendario alla base. E’ incorniciata in alto e in basso da due listarelle nere leggermente convesse e dipinte male. Da una parte all’altra della sua compiutezza, sopra il 1929 con una vignetta calligraficamente obsoleta che copre l’inevitabile primo di gennaio, gli occhi tristi mi sorridono ironicamente.

E’ curioso dove avevo già visto quella figura. Nella parete di fondo dell’ufficio c’è un calendario identico che ho visto tante volte. Ma, a causa di un mistero che è mio o che è dell’oleografia, quella figura identica dell’ufficio non ha tristezza negli occhi. E’ soltanto un’oleografia: è di una carta lustra che, sopra la testa di Alves il mancino, dorme la sua vita sbiadita.

Vorrei sorridere di tutto questo, ma provo un grande malessere. Sento un freddo di improvvisa malattia nell’anima. Non ho la forza di ribellarmi a questa assurdità. A quale finestra e su quale segreto di Dio mi sto affacciando senza volerlo ? Su che cosa guarda la vetrina del vano delle scale ? Quali occhi mi fissavano nell’oleografia ? Sto quasi tremando. Alzo involontariamente gli occhi in direzione della lontana parete dell’ufficio dove è appesa la vera oleografia. Alzo costantemente gli occhi verso quel punto.


Mentre pensavo di me,
all’improvviso hai pronunciato
le parole magiche per l’anima.

E’ stato un attimo,
e mi sono rivisto:
non so più dire
che cosa sarò
ora che una luce
forse ti copre
e ti confonde:
“a quale finestra
e su quale segreto di Dio
mi sono affacciato ?”


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