Da “Il libro dell’Inquietudine” [33]

Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché vi sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa. Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino. Nuvole… Corrono dall’imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all’avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più con il movimento che con l’ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.

Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l’intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio! Nuvole… Continuano a passare, alcune così enormi (poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell’aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento, fredde.

Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né farò niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l’ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l’universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto, Nuvole… Esse sono tutto, crolli dell’altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuiscono; nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti. Nuvole… Sono come me, un passaggio sfigurato fra cielo e terra, in balia di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l’oscurità, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.

Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.


Sono stanco di me,
dentro e fuori.

E come un paesaggio sfigurato
fra cielo e terra spazia
il mio pensiero,
 e “mi accorgo che esisto
senza che io lo sappia
e morirò senza che io
lo voglia”


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