Da “Il libro dell’Inquietudine” [120-121]
Le grandi angosce dell'animo sono sempre dei cataclismi. Quando si verificano il sole s'inganna e le stelle si turbano. Per ogni anima sensibile arriva sempre il giorno in cui il Destino dipinge un’apocalisse di angoscia: come se i cieli e l’universo si rovesciassero sul nostro sconforto.
Sentirsi superiore e vedersi trattato dal Destino come il più infimo degli infimi: nessuno, in questa situazione, può dirsi fiero di essere uomo.
Se un giorno la mia capacità espressiva diventasse così vasta da ospitare tutta l'arte, scriverei un'apoteosi del sonno. Non conosco maggiore piacere del sonno, la cancellazione totale della vita e dell’anima, il commiato dall’essere e dagli uomini, la notte senza memoria e senza illusione, la mancanza di passato e di futuro.
Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell'emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima.
Allora tutte le idee che hanno fatto pulsare sulla nostra vita, i progetti, le ambizioni su cui abbiamo fondato la speranza del futuro, si strappano come se il vento le investisse, si aprono come se fossero nuvole, si dileguano come ceneri di nebbia, stracci di ciò che non fu e che non potrebbe essere stato. E dentro la disfatta sorge, pura, la solitudine nera e implacabile del cielo deserto e stellato. Il mistero della vita ci addolora e ci spaventa con tutti i suoi volti. A volte piomba su di noi come un fantasma senza forma, e l’anima si raggela per lo spavento più terribile: la paura dell’incarnazione mostruosa del non - essere. Altre volte esso sta alle nostre spalle, mostrandosi soltanto quando non voltiamo la testa per guardarlo, ed è la verità tutta intera nel suo profondissimo orrore di non riconoscerla. Ma questo orrore che oggi mi annichilisce è meno nobile, è più corrosivo. E’ il desiderio di non voler pensare, è il desiderio di non essere mai stato nulla, è nella disperazione consapevole di tutte le cellule del tessuto dell’anima. E’ la sensazione improvvisa di essere imprigionato in una cella infinita. Dove si può pensare di fuggire, se la sola cella è tutto? E allora ho un desiderio dilagante e assurdo come un satanismo precedente a satana: che un giorno, un giorno privo di tempo e di sostanza, sia possibile evadere da dio, e che, in una forma ignota, il più profondo di noi appartenga più all’essere o al non essere.
Aspiro ad una notte
senza memorie
e senza illusione,
senza passato
e senza futuro.
Una notte in cui
il Destino dipinga
la sua apocalisse
e strappi come vento
la nostra vita, facendone
“stracci di ciò che non fu
e che non potrebbe essere stato”.
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