Da “Il libro dell’Inquietudine” [146]
Tutto mi si confonde. Quando credo di ricordare una cosa, penso a un'altra cosa; se vedo, ignoro, e vedo in modo nitido quanto sono distratto.
Giro le spalle alla finestra grigia, con vetri gelidi al tatto. E per un sortilegio della penombra porto con me, all’improvviso, l’interno della casa antica dove, nel cortile accanto, il pappagallo strepitava; e i miei occhi si addormentavano per l’irreparabilità dell’aver effettivamente vissuto.
Piove da due giorni e dal cielo grigio e freddo cade un’acqua di colore che fa male all’anima. Da due giorni…Sono triste per il sentire,e penso a questo davanti alla finestra con il rumore dell’acqua che sgocciola e della pioggia che cade. Ho il cuore oppresso e i ricordi trasformati in angoscia.
Senza sonno e senza motivo di avere sonno, ho una gran voglia di dormire. Una volta, quando ero bambino e felice, in una casa del cortile accanto viveva la voce di un pappagallo verde pieno di colori.
Nei giorni di pioggia, mai la sua voce diventava triste ed egli gridava, sicuramente dal suo rifugio, un qualche sentimento costante che aleggiava nella tristezza come un grammofono anticipato.
Ho forse pensato a quel pappagallo perché sono triste e l’infanzia lontana lo evoca ? No, in realtà vi ho pensato perché dal cortile dirimpetto di ora la voce di un pappagallo grida confusamente.
…quell’episodio dell’immaginazione che chiamiamo la realtà.
Ho paura di vivere:
raccolgo con circospezione
il gomitolo dimenticato
nella mia anima e mi rifugio,
con il cuore oppresso,
in un angolo della giornata
a dormire come un gatto stanco.
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