Da “Il libro dell’Inquietudine” [143,144]

Sento il tempo come un enorme dolore. Abbandono sempre ogni cosa con esagerata commozione. La povera stanza d'affitto dove ho passato alcuni mesi, il tavolo dell'albergo di provincia dove sono stato sei giorni, perfino la triste sala d'attesa della stazione dove ho speso due ore aspettando il treno: sì, le cose buone della vita mi fanno male in modo metafisico quando le abbandono e penso, con tutta la sensibilità dei miei nervi, che non le vedrò né le avrò mai più, perlomeno in quel preciso ed esatto momento. Mi si apre un abisso nell'anima e un soffio freddo dell'ora di Dio mi sfiora il volto livido. Il tempo! Il passato! [...] Ciò che sono stato e non sarò mai più! Ciò che ho avuto, e non riavrò! I Morti! I morti che mi hanno amato nella mia infanzia. Quando li evoco la mia anima si raffredda e io mi sento esiliato dai cuori, solo nella notte di me stesso, piangendo come un mendicante il silenzio sbarrato di tutte le porte.


Dio mi ha creato per essere bambino, e mi ha mantenuto sempre bambino. Perché mi ha permesso che la Vita mi picchiasse e mi rubasse i giocattoli, e mi lasciasse solo durante la ricreazione, a spiegazzare con mani così deboli il mio grembiule azzurro, sporco di lunghe lacrime ? Se non mi era possibile vivere senza carezze, perché hanno buttato via la mia tenerezza ? Ah, ogni volta che vedo per la strada un bambino che piange, un bambino esiliato dagli altri, mi fa più male della tristezza del bambino nel dolore sprovveduto del mio cuore esausto. Mi addoloro con tutta la statura della vita sentita, e sono mie le mani che stringono la cocca del grembiule, sono mie le bocche storte delle lacrime vere, è mia la debolezza, è mia la solitudine, e le risate della vita adulta che passa mi consumano come luci di fiammiferi strusciati sulla rugosa stoffa del mio cuore.

Ti sento, e mi si apre
un abisso nell’animo
nel quale soffia
un freddo vento invernale.

Mentre mi lancio
in questo vuoto penso
a ciò che sono stato
e che non sarò mai più,
“piangendo come un mendicante
il silenzio sbarrato di tutte le porte”.

Ho terminato con te
l’ultimo fiammifero,
da strusciare
“sulla rugosa stoffa
del mio cuore”

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