Da “Il libro dell’Inquietudine” [70]

Oggi mi sono svegliato molto presto con uno scatto intricato, e mi sono alzato subito dal letto in preda al soffocamento di un tedio incomprensibile che non era stato provocato da alcun sogno; e che nessuna realtà poteva aver provocato. Era un tedio assoluto e completo ma fondato su qualcosa. Nel fondo oscuro della mia anima, invisibili, si combattevano forze sconosciute, e il mio essere era il terreno di battaglia e io tremavo per lo scontro ignoto. Una nausea fisica della vita intera si è verificata al mio risveglio. Un orrore per il dover vivere si è alzato dal letto insieme a me. Tutto mi è sembrato vuoto e ho avuto la fredda impressione che non esiste soluzione per nessun problema.

Un’enorme inquietudine mi faceva rabbrividire i minimi gesti. Ho avuto paura di impazzire non di follia ma proprio per i gesti. Il mio corpo era un grido latente. Il mio cuore batteva come se singhiozzasse.

Scalzo, a passi larghi e falsi che invano cercavo di rendere diversi, ho percorso la piccola lunghezza della camera e la diagonale vuota della stanza interna con la porta all’angolo che dà sul corridoio. Con movimenti incoerenti e imprecisi ho sfiorato le spazzole sul cassettone, ho spostato una sedia ed ho urtato con la mano oscillante il ferro ruvido dell’inferriata del letto inglese. Ho acceso una sigaretta che ho fumato senza rendermene conto, e solo vedendo la cenere caduta sul capezzale (come è stato possibile, se non mi ero chinato sul capezzale ?) ho capito che ero posseduto, o qualcosa di analogo nell’essere, se non nel nome, e che la consapevolezza che avrei dovuto avere di me stesso si alternava con l’abisso.
E’ arrivato l’annunzio dell’alba, la scarsa luce fredda che colora di un vago azzurro bianco l’orizzonte che si disegna, come un bacio di gratitudine delle cose. Nel senso che quella luce, quel vero giorno, mi liberava, mi liberava non so da che cosa, offriva il braccio alla mia vecchiaia ignota, accarezzava la mia infanzia posticcia, sosteneva il riposo mendicante della mia sensibilità dilagante. Ah, che mattino è mai questo, che mi sveglia alla stupidità della vita ed alla sua grande tenerezza ! E ho quasi le lacrime agli occhi nel vedere schiarirsi davanti a me, sotto di me, la vecchia strada stretta; e quando le imposte della drogheria dell’angolo diventano di un marrone sporco alla luce traboccante, il mio cuore prova un sollievo da racconto di fate reali e comincia a conoscere la sicurezza di non sentirsi.

Quale mattino è questa pena ! E quali ombre si allontanano ? E quali misteri ci sono stati ? Nulla: il suono del primo tram è come un fiammifero che illumina il buio dell’anima, e i passi alti del primo passante sono la realtà concreta che mi esorta con voce amichevole a non essere così.

Ho le lacrime agli occhi
quando l’alba si annuncia
ed il mio cuore,
lasciate le fate,
ritorna a conoscere
la durezza della vita.


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